In questo articolo elencherò 5 film sull’Autismo e sulla Sindrome di Aspergere la loro visione è tesa a sensibilizzare il contesto classe sui temi delle difficoltà dei ragazzi con questo tipo di sindrome. E’ consigliabile prima di far visionare i film in aula, di cercare e approfondire sulle singole recensione l’età a cui fanno riferimento. FILM SU AUTISMO E SINDROME DI ASPERGER
FILM SU AUTISMO E SINDROME DI ASPERGER
1. Rain Man – L’umo della pioggia.
Rain Man – L’uomo della pioggia, è un film del 1988 con protagonisti Tom Cruise e Dustin Hoffman, per la regia di Barry Levinson (Good Morning Vietnam, Toys, Sleepers); la pellicola ha conquistato l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e quattro Premi Oscar per miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista Dustin Hoffman e miglior sceneggiatura originale (firmata da Ronald Bass e Barry Morrow).
Rain Man tratta con delicatezza e, allo stesso tempo, incisività della messa in scena, la complessità della patologia autistica, un universo psicologico in cui il confine fra normalità e anomalia appare sfumato e inafferrabile, tanto da rendere spesso difficoltoso l’inquadramento medico di tali soggetti.
Alla base della sindrome vi è infatti il multisfaccettato universo della neurodiversità, che porta i soggetti autistici ad interpretare ed affrontare la realtà in un modo completamente differente rispetto ai cosiddetti soggetti normali, ma non per questo necessariamente esente da competenze che, anzi, possono risultare settorialmente superiori rispetto a quelle dei soggetti non affetti dal disturbo.
In particolare, il protagonista di Rain Man presenta una forma di autismo detta Asperger, corredata da una Sindrome del Savant che giustifica le spiccate abilità cognitive settoriali del soggetto.
A differenza della maggior parte degli autistici (che risultano non verbali e incapaci di stabilire un qualunque contatto sociale con il prossimo), gli Asperger conservano abilità linguistiche e intellettive spesso spiccate o addirittura di gran lunga superiori alla norma, restando invece carenti o problematici per quanto riguarda l’area della relazione e quindi dell’affettività e dell’espressione emotiva. (Fonte trama www.cinematographe.it)
[Dopo che sono caduti gli stuzzica-denti per terra]Raymond: Ci sono 246 stuzzica-denti per terra.
Charlie [alla cameriera]: Ah, lui si ricorda le cose a memoria. Scusi, ma quanti stuzzica-denti c’erano nella scatola?
Cameriera: 250.
Charlie: Ci sei andato vicino, Ray. Andiamo.
Cameriera: Qui ne sono rimasti 4.
2. Life, Animated FILM SU AUTISMO E SINDROME DI ASPERGER
All’età di tre anni, Owen Suskind, anziché progredire col naturale sviluppo delle abilità motorie e cognitive, cominciò a subire una sorta di regressione, smise di parlare, se non attraverso un borbottio continuo e incomprensibile, e si chiuse sempre più in se stesso, con la sola compagnia dei classici Disney, fino a rendersi del tutto irraggiungibile dai suoi stessi genitori.
La diagnosi di autismo, che dopo un tour di specialisti venne appuntata definitivamente al caso di Owen, gettò la famiglia nella disperazione, finché un giorno, il padre non si accorse che c’era un modo di comunicare col piccolo, parlando il linguaggio dei personaggi dei film.
Si apre così una breccia nel muro fatto di una sostanza sconosciuta ma apparentemente inscalfibile che relega Owen fuori dalla società e da una prospettiva di futuro. Appare sempre più chiaro che, conoscendo ogni battuta a memoria, il ragazzo è in grado di utilizzare i film d’animazione e le avventure che interessano i loro personaggi per orientarsi nei fatti della vita e dare un nome alle proprie emozioni.
Roger Ross Williams, che ha già esplorato un territorio contiguo con Music by Prudence, un cortometraggio di trenta minuti su un gruppo di giovani disabili africani che hanno saputo superare le barriere imposte dalla disabilità attraverso la musica, con Life, Animated fa un passo più lungo, non solo in termini di minutaggio.
Colpito dal memoir redatto da Ron Suskind sulla vicenda del suo secondogenito, dopo averne riassunto con immagini e filmati di repertorio l’infanzia, decide di raccontare un momento di passaggio, quello in cui il ventitreenne Owen sta per lasciare il nido famigliare per prendere possesso di un appartamento in cui vivrà, per la prima volta, in totale autonoma.
Ed è commovente vedere come ciò che preme di più al protagonista del documentario, tra gli scatoloni del trasloco che lo ha portato a 120 chilometri da dove è cresciuto, è quello che contiene le videocassette della Sirenetta, di Alladin, Pinocchio e degli altri film della sua vita.
Come si trattasse di dizionari, necessari in un paese straniero, o di manuali per la vita, con le istruzioni per l’uso. (Fonte trama www.mymovies.it)
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All’improvviso, all’età di tre anni, Owen è sparito. Il dottore ci ha detto: lasciate che vi spieghi cos’è l’autismo.
– Life, animated
3. Il mio nome è Khan
Presentato alla 60° edizione del Festival Internazionale di Cinema di Berlino, nella sezione fuori concorso, ha colpito la critica per la sua schiettezza e semplicità nel trattare temi importanti come il rapporto fra le religioni e i popoli, il problema dell’autismo e soprattutto descrivendo il clima di terrore e odio provocato dalla tragedia dell’11 settembre 2001.
Diretto dal giovane regista di Bollywood, Karan Johar, è interpretato da una delle coppie più famose del cinema indiano Shah Rukh Khan e Kajol, ha sbancato i botteghini in India e conquistato il pubblico statunitense. Sembra che l’opera sia ispirata ad una storia vera risalente ad un fatto accaduto all’aeroporto di Newark, quando un uomo americano di origine musulmana ed affetto da autismo fu arrestato senza motivazioni precise dalle autorità di frontiera dopo l’episodio delle Torri Gemelle.
L’incidente suscitò l’indignazione dell’India tanto che l’ambasciatore americano a New Delhi dovette pubblicare un comunicato stampa per spiegare l’accaduto. Al di là del suo carattere più o meno biografico, “My name is Khan” è un film ben costruito caratterizzato da uno stile frizzante che alterna atmosfere melò a quelle “epiche” ed on the road. C’è una profonda attenzione a livello estetico, tanto che a volte la pellicola appare quasi patinata ed inoltre è arricchita da una colonna sonora sempre più incalzante, che a volte sembra cercare di imporsi sulla recitazione fatta di sguardi e di silenzi. FILM SU AUTISMO E SINDROME DI ASPERGER
Il film, sebbene sia caratterizzato da diversi flash back, è diviso in due parti, l’inizio è dedicato a presentare il protagonista, la sua infanzia, il suo particolare rapporto con il mondo, essendo affetto da un disturbo autistico chiamato sindrome di Asperger, con il fratello minore e la sua amorevole madre e raccontare l’incontro con la donna della sua vita di religione induista.
La seconda parte è caratterizzata dalla tragedia, dal viaggio nel dolore per la perdita del figlio vittima di bullismo e del razzismo, facendo così acquisire al film stilemi e caratteri tipici delle opere “on the road”, un cammino che si conclude con la riscoperta dei sentimenti e dell’amore. Il regista Karan Johar insieme alla sceneggiatrice Shibani Bathija costruisce un film inedito per lo stile di Bollywood, affrontando con tocchi leggeri e drammatici il tema politico e sociale.
La frase “Il mio nome è Khan e non sono un terrorista” diventa così simbolo e voce di tutte quelle persone di origine straniera che hanno visto la loro vita sconvolta dalla tragedia delle Torri Gemelle, catapultati improvvisamente in una realtà diversa, “vittime” dell’odio e della vendetta nei confronti di chi è diverso per religione e cultura, senza riuscire a farsi ascoltare e comprendere.
Senza annoiare, nonostante la sua lunghezza, “My name is Khan” si avvicina ad un manifesto politico, ma evita i toni predicatori nel tentativo di toccare il cuore del pubblico, mostrando un uomo “diverso”, che affronta le tragedie della vita restando fedele a se stesso.
L’opera potrebbe addirittura essere riassunta nel semplice ed universale insegnamento che la madre cerca di impartire a questo suo figlio così speciale: “Al mondo esistono solo due tipi di persone: quelli buoni che fanno buone azioni e quelli cattivi che commettono cattive azioni.
Questa è l’unica differenza”. Lascia però un che di amaro in bocca, l’elemento forse troppo americanizzato della storia che in qualche modo indebolisce la forza del film, mostrando un’America allo sbando, che dopo il 2001 sembra non riuscire ad organizzarsi e si comporta come un animale ferito. (Fonte recensione http://filmup.leonardo.it).
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4. Pulce non c’è
La famiglia Camurati: mamma, papà e due figlie. La più piccola di esse è autistica. Si chiama Margherita, ma per tutti i parenti è semplicemente “Pulce”, adorata e coccolata da tutto il parentado. Questa dolce armonia viene però interrotta quasi subito: quando mamma Anita va a prendere la figlioletta a scuola, scopre che “non c’è”.
E’stata portata via dai servizi sociali, poiché gravano pesanti accuse su papà Gualtiero, accuse dichiarate da Pulce stessa tramite la comunicazione facilitata (la quale, dato che non parla, si esprime con questo computer grazie all’aiuto di un adulto che le guida la mano sulla tastiera dopo averle scritto una domanda).
A raccontarci tutto questo è Giovanna, la figlia più grande, undicenne, che, tramite il suo personalissimo punto di vista, descrive le varie realtà e accadimenti della sua famiglia ma anche di se stessa: la storia della sua famiglia, la vita di tutti i giorni, il suo complesso rapporto coi coetanei, il rapporto con la sua unica amica, le indagini e la prosecuzione dei provvedimenti presi dai suoi genitori per riavere la piccola Pulce e difendersi dalle accuse…
Giovanna è ancora piccola, non conosce per bene la vita, è l’esposizione dei suoi aneddoti è condita dalla sua smisurata immaginazione e dal fraintendimento di ciò che non capisce, rendendo la lettura assai comica e piacevole nella sua ingenuità, evitando eccessivi patetismi e melodrammi, e attenuando in questo modo la tragicità di una vicenda del genere.
Tramite gli occhi di questa narratrice, vediamo sì una famiglia con tutti i suoi problemi, ma che vive con serenità, sdrammatizzando e ironizzando su un sacco di dettagli, per non farseli pesare quando ne hanno la possibilità. FILM SU AUTISMO E SINDROME DI ASPERGER
La piccola Pulce, inoltre, seppur fulcro del romanzo, è come se fosse un fantasma; compare “in carne ed ossa” solo in pochissimi passaggi. Perché, per l’appunto, lei “non c’è”. E’come un tesoro rubato e che deve essere recuperato. Per il resto rimane “viva” soltanto nelle memorie di Giovanna, che ne spiega la crescita, i suoi modi di fare, le passioni, nonché lo smisurato amore che tutta la famiglia nutre nei suoi confronti.
Tutto questo viene raccontato in un fluire ininterrotto di pensieri in prima persona, alternanza di presente e flashbacks, privo quasi sempre di punteggiatura, come se la narrazione fosse una necessità, uno sfogo che salta fuori come un torrente impetuoso e non ha tempo di ricevere queste aggiunte supplementari.
E’ una storia che sì diverte ma strugge insieme. Soprattutto considerando che è una storia vera.
Consigliato caldamente, così come l’omonimo film diretto da Giuseppe Bonito. (Fonte https://www.qlibri.it)
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La prima cosa speciale, a proposito di Pulce, è che lei non parla. Ma questo non significa che non abbia niente da dire. È che non si può mai sapere bene cosa c’è nella sua testa.
– Pulce non c’è.
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5. Temple Grandin – Una donna straordinaria
l film è tratto dalla storia vera di Temple Grandin, una donna americana con due lauree in Psicologia e in Zoologia, un master in Scienze Animali che si è impegnata tenacemente nel movimento a tutela dei diritti degli animali e delle persone autistiche come lei.
Il racconto percorre la sua vita, dalla cronaca della prima diagnosi della malattia, quando, a quattro anni, non parlava ancora e i medici erano convinti che non ci sarebbe mai riuscita, la sua solitaria crescita, la sua faticosa, turbolenta e incompresa vita scolastica.
Scontrosa, arrabbiata, inavvicinabile anche da chi le voleva bene, Temple viene protetta con costanza dalla madre e dalla zia che per prime hanno capito che, nonostante la malattia, era molto intelligente e sensibile.
Durante gli anni del college, incoraggiata dall’insegnate di scienze, il primo ad aver intuito che Temple vede “il mondo in modo diverso” e che era una “pensatrice visuale”, inventa per sé “la macchina degli abbracci”.
Indomabile come sua madre, Temple ed il suo handicap, non si lasceranno mettere in un angolo dagli ostacoli sociali, professionali e dai preconcetti, ma continuerà nel cammino che si è proposta.
Da sola riesce a rivoluzionato l’industria del bestiame, convincendo gli allevatori ad un comportamento che escluda mezzi brutali nei confronti degli animali che, anche se destinati al macello, non devono subire la tortura della paura che precede la morte.
Scrittrice, insegnante e pionieristica sostenitrice in difesa dell’autismo e dai modi per educare persone come lei, inventa dimostra di essere davvero diversamente abile, anzi abilissima. (Fonte http://www.settemuse.it)
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